La corsa: la lunga strada del presidente Ciampi by Bruno Vespa

La corsa: la lunga strada del presidente Ciampi by Bruno Vespa

autore:Bruno Vespa [Vespa, Bruno]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Political Science, Political Process, General
ISBN: 9788804471950
Google: TJAZAQAAMAAJ
editore: RAI ERI
pubblicato: 1999-08-14T22:00:00+00:00


28 aprile 1999, quando il suo amico Luciano Violante convocherà le Camere riunite per eleggere il successore di Scalfaro, la soglia fatale sarà toccata.

Senza contare, come gli ricorda Fabrizio Rondolino, che la nuova Costituzione abbasserà probabilmente l'età a quarant'anni.

Io spero che la riforma si faccia dice D'Alema e per quanto mi riguarda vedremo i poteri del nuovo presidente.

Per ora conclude secco almanaccare su futuri improbabili non ha alcun senso.

Co~ltro la lista Beautiful

Torniamo all'autunno del '97 e alla stanza del computer di Ornella.

Il provvisorio accantonamento della candidatura di D'Alema al Quirinale non fece cadere i discorsi sull'immagine del leader.

Lo staff del segretario sapeva - profeticamente che Prodi non sarebbe potuto restare in eterno a palazzo Chigi e che, se l'Ulivo fosse rimasto in maggioranza, il prossimo giro sarebbe toccato a D'Alema.

Bisognava dunque seminare per tempo.

Velardi e Rondolino, in verità, la semina l'avevano già cominciata all'inizio del '96.

Fallito il tentativo di Maccanico, si andava alle elezioni.

Fino a quel momento D'Alema, rispettando in pieno la tradizione comunista, si era coperto invece di vestirsi.

Aveva morso invece di parlare.

Aveva ghignato invece di sorridere.

Insomma, l'ideale per far scappare quei voti moderati di cui l'Ulivo aveva un disperato bisogno per vincere.

Velardi cominciò allora un trattamento progressivo, trasformò l'abbigliamento di D'Alema da quello del dirigente paleocomunista in qualcosa che facesse ricordare l'eleganza della vecchia Napoli.

Ordinò le sue camicie su misura ad Anna Mattozzi, i vestiti al sarto napoletano Gino Cimmino, mentre Minniti provvide alle scarpe cucite a mano, commissionandole alla ditta calabrese intitolata al cardinale Cesare Firrao.

Annamaria Testa gli fece un po' di scuola di comportamento, e nel giro di pochi giorni il segretario del Pds cambiò aspetto.

In quell'autunno del '97 - dopo quasi due anni - bisognava fare un passo ulteriore.

Prodi aveva conquistato tanta gente andando in bicicletta, Berlusconi aveva fatto sognare la folla sterminata delle partite IVA esaltando la trincea del lavoro.

E D'Alema? Mica poteva andare in giro dicendo: guardate, amici e compagni, che io da piccolo ho portato i fiori a Togliatti.

Doveva diventare un uomo che viene da una parte, ma va a collocarsi sopra le parti.

Un leader che viene votato per quello che è, non per le artiglierie che si porta dietro.

Perché non fare dunque un primo sondaggio con le elezioni comunali di Roma? La discussione su questo punto fu molto accesa.

Rondolino e Cuperlo erano contrari: sapevano benissimo che D'Alema avrebbe preso meno voti di Fini e di Rutelli.

E allora, perché farlo scendere in campo? Velardi era agnostico, il segretario del Pds alla fine decise di correre.

Mentre la sua campagna d'immagine sarebbe stata quella di un leader in grado di parlare a tutti, la sua partecipazione attiva alla campagna elettorale lo avrebbe radicato di più a Roma.

Alcuni dei suoi sostengono infatti che ormai la storia del deputato di Gallipoli come lo chiamò con disprezzo Occhetto, e avviata al tramonto: un leader nazionale, per di più romano di nascita, deve presentarsi a Roma.

Fu a quel punto che Velardi pensò a un manifesto diverso dagli altri: la sola immagine di D'Alema, sorridente, gioviale, insomma l'esatto contrario di come è con i giornalisti (e non solo).



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